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Cronaca Stadio / Via Benedetto Croce

Dopo il sequestro per 350mila euro, scatta la confisca del lounge bar Gemi

I giudici della sezione di prevenzione del tribunale di Lecce hanno accolto la richiesta della Procura, ritenendo che l’attività commerciale sia riconducibile ad Antonio Leto, il 31enne di Caprarica tra i personaggi di spicco dell’operazione “Final Blow”

LECCE - Arriva la confisca per alcuni dei beni dal valore complessivo di 350mila euro finiti sotto sequestro lo scorso aprile, poiché ritenuti di proprietà di Antonio Leto, 31 anni, di Caprarica, personaggio di spicco dell’inchiesta dell’Antimafia “Final Blow”.

Lo ha deciso il tribunale di Lecce, su sollecitazione della Procura, specificatamente in merito a due autovetture, una Mercedes GLC 200 e una Volkswagen Polo, e alla società Gemi, titolare del lounge bar di via Benedetto Croce, nel rione Partigiani di Lecce, imponendo invece il dissequestro di un motociclo Yamaha XP 500 e di un immobile a San Foca, in contrada “Runchia”, a Melendugno, risultato essere di proprietà dei genitori.

Ma non finisce qui. La sezione misure di prevenzione composta dai giudici Roberto Tanisi, Carlo Cazzella e Giovanni Gallo, ha ritenuto di dover disporre nei confronti di Leto anche la misura di prevenzione della sorveglianza speciale non appena avrà finito di scontare la pena. E di condanne nel tempo il 31enne ne ha collezionate due di rilievo: quella a nove anni e dieci mesi inflitta dalla Corte d’Appello di Lecce, il 1° luglio del 2020, nell’ambito dell’inchiesta “Federico II”,  e quella a 15 anni emessa lo scorso 11 luglio nel processo abbreviato scaturito dall’operazione “Final Blow” che lo vede uomo di fiducia del sodalizio mafioso, al cui vertice ci sarebbero stati Antonio, detto “Totti”, Pepe e Marco Antonio Penza.

Il provvedimento stabilisce l’obbligo di soggiorno nel comune di Melendugno per la durata di cinque anni e di non uscire di casa dalle 20 alle 6,  in considerazione dell’elevata pericolosità sociale manifestata dal suo profilo criminale.

E’ quanto sostengono i giudici:  “La lunga militanza nelle organizzazioni criminali sin dal lontano 2012 e l’impegno quotidiano profuso a tutto tondo da Antonio Leto nel corso del 2018 in seno all’organizzazione mafiosa di Marco Penza, espressivo di un ruolo di rilievo nella scala gerarchica, sono indici rivelatori di un’estrema e attualissima pericolosità sociale che nel circuito mafioso, in base a ati di comune esperienza, continua a manifestarsi anche in regime detentivo impartendo direttive ai sodali in libertà e imponendo loro l’assistenza economica”.

Leto e i suoi familiari erano assistiti dall’avvocato Silvio Verri, mentre la società Gemi era rappresentata dall’avvocato Stefano Pati.

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