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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca

Inciviltà e pochi controlli. Le cartoline da Lecce che nessuno invierebbe mai

Lecce si sta seppellendo da sola sotto i rifiuti. Una barbarie che devasta irrimediabilmente angoli di campagna

LECCE – Di recente sono tornato a Matera (foto in basso). I nostri (vittoriosi) sfidanti nella corsa a Capitale europea della cultura, meravigliosi nella loro consueta ospitalità, hanno inaugurato un ponte sospeso sul torrente Gravina. Collega il rione Sassi al Parco della Murgia. E’ un’alternativa per spiriti avventurosi ai tornanti in collina da affrontare con l’auto. Per i bambini è come giocare a indossare i panni di Indiana Jones, per gli adulti un’esperienza altrettanto emozionante.

Matera ha un fascino rupestre e antico, molto diverso da quello di Lecce, dove splende l’eleganza di quel tratto barocco che nel Seicento ha rimodellato la città, forgiando un gioiello di rara bellezza. Entrambi sono luoghi unici al mondo, anche se un paragone sarebbe improponibile e inutile. Ammaliano i visitatori con forme di seduzione diverse.

Di sicuro, Matera ha uno spiccato senso per la natura che deriva dalla sua morfologia: è nata ed è rimasta avvolta nella roccia. I paesaggi non sono un contorno, ma l’essenza stessa. Non è un caso che cineasti come Pier Paolo Pasolini e Mel Gibson ne siano stati catturati. Ma provate, ora, un agghiacciante esercizio mentale: immaginate il canyon sul ciglio del quale è abbarbicata Matera, colma d’immondizia. Un catino di rifiuti, un contenitore di ogni porcheria.

20160417_154140-2Per fortuna non avverrà mai.

A Lecce, invece, dove non c’è un canyon e non scorre un torrente in superficie, quel catino c’è, anche se non si nota subito. La causa? La collocazione in pianura. La città assume così i contorni di una monumentale discarica a cielo aperto, ma diffusa. Una costellazione di immondezzai che, uniti tutti insieme, colmerebbero il canyon di Matera.

Perché si odia in questo modo la dolce campagna salentina? Cos’ha da invidiare ai sassi materani? Nulla. Madre Natura ha elargito doni a tutti, ma in modo diverso. Non c’è alcuna differenza nel difendere una roccia preistorica o la vegetazione che da secoli si rigenera. Eppure, troppi leccesi non provano alcun senso di vergogna, nessun fastidio, nell’usare ogni angolo “fuori le mura”, come fosse il proprio cesso.

L’altro giorno ci ha scritto una lettrice, con un corredo di eloquenti immagini. “Percorrendo via Vecchia Carmiano, poco dopo il centro sociale della parrocchia, ci sono montagne di rifiuti: grosse buste, poltrone e quant’altro”. “Non mi sembra corretto vedere quello schifo. E’ una strada dove molta gente pratica footing. Potete intervenire in qualche modo?”.

Noi no. Possiamo segnalare. Chi deve intervenire sono altri: i forestali o i finanzieri o magari la polizia locale, l’ufficio ambiente e via dicendo. Chi deve intervenire per primo, però, su se stesso, è il leccese, iniziando a lavorare sulla propria mentalità, togliendosi di dosso il paraocchi della strafottenza.

Ci vorrà tempo. Decenni, forse. Ma prima o poi si dovrà uscire da uno stadio di barbarie per allinearsi alla civiltà. Questa villania è uno schiaffo in faccia a se stessi, uno sputo alla propria cultura, la brutta cartolina che nessuno invierebbe mai a un amico lontano, con scritto: “Saluti da Lecce”. 

Abbiamo inviato un fotografo in giro, specie nelle strade oltre gli ultimi caseggiati, dove “osa” persistere una qualche forma di natura nonostante la violenza della contaminazione. Ed è tornato, come già sapevamo, con un carico di immagini talmente eloquenti, che quasi sembrano emanare puzzo di decomposizione alla sola visione.

Via Malta, nel rione San Guido; viale Grassi, via Vecchia Cavallino, la strada di servizio parallela alla statale 16 Lecce-Maglie; le vie intorno al seminario, laddove Lecce e Castromediano di Cavallino s’intrecciano fino a fondersi; e ancora, Borgo Piave e la strada per la marina di Frigole (tutti nella galleria fotografica).

La mappa della vergogna

Luoghi spesso percorsi da chi pratica un’attività salutare, che con un minimo di decenza e di attenzione sarebbero in alcuni casi anche ridenti angoli di territorio a due passi dalla città, dove respirare aria pulita. E invece, dai germogli spuntano persino logore poltrone e frigoriferi mangiati dalla ruggine.

Questo desolante scenario non è sorto in una notte. Sono anni che campagne e muretti a secco inghiottono sacchi di spazzatura, tegole rotte, bottiglie di vetro e plastica, senza poterli vomitare in faccia all’uomo, che non è un intruso, ma figlio di quella stessa natura contro la quale si è rivoltato.

Questa disarmante scenografia è il frutto di molti fattori che si possono riassumere in un’assenza di senso civico unita a una mancanza di controlli rigidi e assidui. E siamo alle solite: il senso di onnipotenza che deriva dalla quasi certezza dell'impunità. 

Nelle vie di campagna scarica il cittadino porcello (antitesi del cittadino modello) come la ditta senza scrupoli che si sbarazza così di ciò che altrimenti avrebbe un costo di smaltimento. A questi splendidi e sempiterni esemplari si stanno aggiungendo le nuove specie, i migranti dalla differenziata, che girano come cani bastonati fra i tratturi per abbandonare la spazzatura. Non disdegnando, all’occorrenza, anche l’ombra delle campane per il vetro, oggi visti come moderni megaliti, dolmen plastificati per sepolture collettive di avanzi del consumo contemporaneo.

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