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Emiliano & Mellone: tra ricerca di un alibi e dovere di una riflessione critica

L'intesa è maturata negli anni sul terreno post ideologico. Ma la travolgente riconferma del sindaco di Nardò poggia anche su una resa (quasi) incondizionata del Pd regionale e della galassia alla sua sinistra

LECCE – Ha ragione Francesco Costa quando provocatoriamente lamenta l’assenza dei veri fascisti, quelli cioè che non hanno bisogno di cancellare un post, ritrattare una dichiarazione, fornire stravaganti interpretazioni su saluti romani (oggi su “Morning”, podcast de Il Post).  

Nel percorso lungo ed equivoco di transizione verso la legalità costituzionale – poiché l’adesione morale e sincera ai presupposti valoriali è una questione di coscienza personale – in soccorso della destra italiana è arrivata un'arma assai utile per farsi capire dalla società liquida contemporanea e rimbalzare, come un muro di gomma, le domande un po’ scomode che ogni tanto arrivano: il post ideologismo.

Si tratta di un tema di portata vasta, enorme, con implicazioni teoriche, ma che ha il suo laboratorio di applicazione nella vita politica e amministrativa di ogni giorno. Relegare una questione al passato, esimendosi dal prendere pubblicamente posizione, è la via più comoda per dribblare inevitabili "scocciature" e imbarazzi. E sono sempre di più i cittadini disposti a lasciar correre un certo tipo di discorsi davanti a istanze considerate prioritarie: per esempio il lavoro (che manca), la sanità (che scricchiola), la sicurezza (molto enfatizzata nel dibattito “socialmediatico”).

La Coalizione della Puglia e la strategia del governatore

Ma il post ideologismo è anche il terreno sul quale il governatore della Puglia, Michele Emiliano, sta sperimentando la sua strategia politica di allargamento di quella che ha nei giorni scorsi definito “coalizione della Puglia” e che in alcuni comuni governa con il Pd, replicando lo schema regionale, in altre senza. Un soggetto plurale e autonomo rispetto al partito che, sotto la regia di un capo dalla personalità forte e dunque ben riconoscibile, tende a occupare lo spazio abbandonato da altri.

Rotti gli argini di una volta, il post ideologismo tracima trainato da una sorta di pragmatismo amministrativo nel quale la domanda che conta non è “da dove vieni” ma “cosa vuoi fare”. In questa prospettiva è maturata da anni l’intesa con Pippi Mellone, giovane sindaco di Nardò, cresciuto tra suggestioni movimentiste e cameratesche e riconfermato da pochi giorni a suon di voti. Non è un modo di dire: se pure fossero andati a votare tutti gli aventi diritto (29,669) e non "solo" il 71 percento di loro, Mellone sarebbe riuscito a superare la maggioranza assoluta, avendo ricevuto 15.408 voti. Va ricordato che nel 2016 Mellone la spuntò per soli 90 voti sull'avversario, l'allora sindaco uscente Marcello Risi. 

Epidemia di fascismo a Nardò?

C’è un’epidemia di fascismo a Nardò? Ed Emiliano è complice di questo "revanscismo"? A entrambi i quesiti si può rispondere con diverso grado di acume e di sincerità, ma quello di cui troppo poco si discute è il contesto nel quale questo “fenomeno” ha attecchito. Così si finisce per concentrare tutte le attenzioni sulla figura di Mellone - che tra l’altro ben si presta con i suoi modi un poco goffi e un poco spiccioli – e per aggirare continuamente il punto nodale: cosa si è fatto concretamente per affrontare questa “emergenza” o “anomalia” (a seconda del grado di preoccupazione che si intende trasmettere)? Poco o decisamente non abbastanza (a seconda di quanto si voglia approfondire il discorso sulle responsabilità che in Italia non è mai stato di moda).

Oggi il fronte antimelloniano raccoglie i cocci di una sconfitta umiliante, conseguenza di una partita mai veramente giocata: si salva l’orgoglio di Stefania Ronzino e la coerenza di Nardò Bene Comune, ma sul piatto non resta nemmeno il posto in consiglio comunale per la candidata a sindaco. Il Pd ha preso il 5,5 percento mentre il M5S addirittura l’1,5 percento: un risultato complessivamente disastroso. Si può scegliere di spiegare questo naufragio – tutti e tre i candidati alternativi a quello vincitore sommano il 26 percento dei voti espressi – affermando che i neretini siano stati ingannati dalla propaganda, quasi fossero vittime di una sorta di ipnosi collettiva, oppure si può aprire una discussione politica sulle premesse che hanno portato a questa conclusione.

Il Pd pugliese: alla ricerca di una identità

Il tracollo del centrosinistra a Nardò non si può addebitare, se non in parte, alla strategia di Emiliano, per quanto spregiudicata e incomprensibile a molti possa sembrare. Ha parecchio a che fare, invece, con le fratture interne e profonde maturate negli anni, con l’incapacità dei soggetti politici di parlare un linguaggio almeno parzialmente simile, con l’utilizzo di partiti e movimenti come ascensori di carriere personali (dati i risultati, a oggi abbastanza improbabili). Con l'assenza, infine, di una proposta amministrativa in grado di competere con quelle di un primo cittadino che invece ha saputo presentarsi in maniera convincente alla comunità.

Il Pd regionale, in questa deriva, ha una responsabilità evidente: è politicamente debole - cioè si fa tanta fatica a capire quale sia la sua visione delle cose -, è visibilmente frammentato in circoli e geometrie variabili e, quindi, finisce per essere sempre succube del rapporto con il governatore. Non è in grado di ricompattare le fratture, di dettare un’agenda leggibile. In questa inerzia si inserisce l’azione di Emiliano.

Alla sua strategia - oggi a Nardò, domani chissà dove - il Pd e i soggetti della galassia della sinistra possono concretamente rispondere solo in un modo: ridefinendo il proprio ruolo in un perimetro lineare di idee e valori, incentivando la partecipazione intesa non come affiliazione ma come strumento di connessione con l’opinione pubblica e le sue sfaccettature complesse e contraddittorie, smettendola di vedere nel civismo lo spauracchio di tutti i mali.

Da quando le segreterie sono diventate più centri d'interesse che luoghi di elaborazione politica, e il tesseramento una sorta di regolamento periodico dei conti tra clan più che uno strumento di inclusione e di avvicinamento, i partiti hanno perso l'anima. E questo smarrimento non è colpa né di Emiliano né dei movimenti civici.

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